E attenzione alla “sindrome da secondo impatto”. È importante la valutazione neuropsicologica dell’atleta prima che riprenda l’attività agonistica.
La concussione cerebrale è un evento traumatico tutt’altro che eccezionale. Nei soli Stati Uniti ogni anno si stimano circa 300.000 casi di questo tipo di traumi cranici correlati alla pratica sportiva, una cifra che secondo gli studiosi sarebbe ampiamente sottostimata. Vi sono diversi tipi di concussione cerebrale distinti per gravità, i cui effetti possono essere poco significativi o, nelle situazioni più severe, giungere fino al pericolo di vita. La gestione del trauma cranico concussivo negli atleti dovrà quindi prevedere una valutazione medico-specialistica attenta sia nell’immediato che a distanza di giorni dall’accaduto, che preveda sia indagini cliniche che strumentali multidisciplinari. La risposta di vista ed esami deve essere alla base della decisione di una ripresa piena dell’attività agonistica per non far correre rischi allo sportivo.
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«La concussione – spiega il professor Carmelo Anile - è un’alterazione dello stato di veglia; può esserci un trauma concussivo con o senza perdita della consapevolezza psicologica di sé e dell’ambiente circostante». La commozione cerebrale è più precisamente un complesso processo fisiopatologico con interessamento cerebrale indotto da forze biomeccaniche traumatiche causato sia da un colpo diretto al capo, al viso, al collo, sia a qualsiasi altra parte del corpo con un impulso trasmesso indirettamente. I sintomi caratteristici della concussione, oltre un breve transitorio deterioramento neurologico a risoluzione spontanea, possono essere diversi: perdita di coscienza, cefalea, nausea/vomito, visione annebbiata, problemi di equilibrio, problemi di concentrazione e attenzione, amnesia. A questi si aggiungono una serie di segni visibili: stordimento, sguardo assente, confusione, perdita di coscienza, cambiamenti umorali, stato di confusione. Circa il 40% degli atleti che incorre nella concussione manifesta questi sintomi e segni clinici immediatamente dopo l’insulto traumatico, ma talora anche dopo alcune ore o giorni. «Ma ciò che deve maggiormente allarmare il medico che si trova di fronte a un paziente con concussione è la persistenza di vomito e nausea in seguito al trauma - prosegue Anile -, sintomi che possono presentarsi anche nei giorni a seguire».
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L’intervento di un medico-speciaslista diventa quindi fondamentale per evitare la cosiddetta sindrome da secondo impatto, cioè un secondo evento traumatico, anche con minor forza del primo, che può determinare negli atleti un edema cerebrale acuto, un deterioramento dello stato neurologico, erniazione cerebrale e nei casi più gravi può condurre al decesso. Nel tempo sono state proposte numerose scale di classificazione della concussione cerebrale in modo da definire la gravità del quadro clinico/patologico e di programmazione del rientro dell’atleta all’agonismo. La classificazione più accreditata è quella dell’Accademia Americana di Neurologia: concussione di grado 1 – Lieve – confusione transitoria, senza perdita di coscienza, con durata inferiore a 15 minuti, non richiede il ricovero; concussione di grado 2 – Moderata – confusione transitoria, senza perdita di coscienza, con durata superiore a 15 minuti; concussione di grado 3 – Severa – perdita di coscienza, breve o prolungata, richiede un ricovero urgente e accertamenti diagnostici attenti. Generalmente la concussione si presenta sotto 2 forme: semplice o complessa. «Nel prima caso la commozione si risolve nel 70-80% dei casi con un periodo di riposo di 7-10 giorni – afferma il neurochirurgo infantile Massimo Caldarelli – con la differenza che nei bambini si richiedono però periodi più lunghi per una ripresa adeguata». La seconda è caratterizzata dalla perdita di coscienza della durata di 1 minuto, e/o presenza di specifiche complicanze, e/o deficit cognitivo prolungato per più di 7-10 giorni, e/o persistenza di sintomi post-concussivi.
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Negli sportivi con concussione complessa è quindi importante una valutazione neuropsicologica; la ripresa dell’attività sportiva dovrà essere valutata in maniera multidisciplinare, basandosi sull’obiettività neurologica, neuropsicologica ed eventualmente su esami neuroradiologici e posturali. La valutazione neuropsicologica, condotta solo su sportivi asintomatici, sta assumendo un ruolo sempre più di rilievo nella concussione cerebrale complessa. Si tratta, come spiega il medico sportivo della Cattolica Massimiliano Bianco, di semplici questionari (test) di rapida somministrazione che indagano l’orientamento spazio-temporale, la memoria recente e lontana e la capacità di concentrazione e misurano i tempi di reazione di un atleta. Ogni test andrebbe somministrato all’inizio della stagione agonistica in modo da avere almeno un riferimento per poterlo poi paragonare a un nuovo test eseguito successivamente al trauma concussivo. Tuttavia, in assenza, la sola somministrazione del test nel momento del trauma può dare importanti informazioni, paragonandolo coi risultati di test-database di atleti praticanti lo stesso sport, di pari età, educazione e livello lavorativo. «È bene usare questi test neuropsicologici – ha continuato Bianco - non soltanto nella pratica clinica, ossia nella valutazione della concussione, ma anche nel campo della ricerca per delineare le prospettive future. La decisione del ritorno in campo degli atleti deve essere basata su più metodi e approcci: sicuramente valutare il loro quadro clinico, eseguire test neuropsicologici, sottoporli a risonanza magnetica spettroscopica, provare anche il test dell’equilibrio; tutti questi ci guideranno poi a far tornare in campo senza rischi il nostro atleta».
�Il chirurgo Stefano Signoretti sottolineato come un’indagine neuroradiologica attraverso una Tac o una risonanza magnetica potrebbe contribuire alla giusta valutazione dell’atleta con trauma cranico qualora il quadro clinico sia grave e si sospettino lesioni strutturali cerebrali. Studiare la concussione cerebrale e la sua gravità nel mondo dello sport significa capire quando è possibile il rientro dell’atleta traumatizzato nella fase agonistica. Non c’è però un punto d’accordo sulle diverse linee guida di recupero: l’orientamento attualmente prevalente sembra essere quello di far rispettare all’atleta un periodo di riposo fisico, ma anche cognitivo, per non avere delle ricadute nei giorni seguenti al trauma concussivo. L’atleta asintomatico potrà così riprendere la normale attività prima attraverso un leggero esercizio aerobico, a seguire con un allenamento non troppo faticoso tipico della sua disciplina; solo successivamente potrà eseguire i gesti tecnici specifici del suo sport. Infine, prima del rientro pieno all’agonismo, occorrerà una valutazione medica finale.
LA CONCUSSIONE CEREBRALE
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Alla concussione cerebrale negli sportivi, trauma frequente, troppo spesso sottovalutato, è stato dedicato il seminario scientifico promosso dalla Scuola di Specializzazione in Medicina dello Sport dell’Università Cattolica di Roma, diretta dal professor Paolo Zeppilli, realizzato in collaborazione con le Scuole di Specializzazione in Neurochirurgia e in Biochimica e Biochimica clinica dell’Ateneo. Relatori dell’incontro, svoltosi lo scorso 8 marzo al Policlinico Gemelli, gli specialisti della Cattolica Carmelo Anile e Massimo Caldarelli, dell’Istituto di Neurochirurgia, Barbara Tavazzi, dell’Istituto di Biochimica e Biochimica Clinica, Massimiliano Bianco, dell’Unità Operativa di Medicina dello Sport del Gemelli, Giuseppe Lazzarino, del Dipartimento di Scienze Cliniche dell’Università degli Studi di Catania e Stefano Signoretti del Dipartimento di Chirurgia di testa e collo, Ospedale San Camillo di Roma. Moderatore del seminario il neurochirurgo infantile della Cattolica Concezio di Rocco.
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